Migrazione: disuguaglianze globali e sfide della modernità

L’analisi della Professoressa Donatella Strangio

Lo scorso 11 giugno, nella sede dell’associazione Luciano Lama, si è svolto un workshop a cui hanno partecipato docenti, studenti e istituzioni pubbliche. In quell’occasione abbiamo avuto il piacere di avere con noi la professoressa Donatella Strangio, docente di Storia economica contemporanea, Storia della finanza e dell’impresa bancaria, Storia economica della colonizzazione e della decolonizzazione alla Sapienza Università di Roma.
Le abbiamo chiesto una sua riflessione sul tema della migrazione che riportiamo di seguito.

Il contesto

Attualmente si contano circa 272 milioni di persone migranti, rispetto ai 93 milioni del 1960. La quota sulla popolazione mondiale è rimasta costante (circa il 3%), ma le cause della mobilità sono aumentate: conflitti, cambiamenti climatici, reti sociali, migliori mezzi di trasporto (Dossier Statistico Immigrazione 2019).

Le migrazioni, se ben governate, sono un motore di sviluppo per i Paesi di origine e di destinazione (Global Compact for Migration 2018; United Nations 2015). Le rimesse inviate dai migranti rappresentano una fonte essenziale di reddito per molte famiglie nei Paesi poveri. Tuttavia, in assenza di adeguate politiche, possono anche generare squilibri economici e dipendenze dannose.

Il contributo dei migranti nei Paesi di accoglienza è significativo: oltre a sostenere la domanda interna, mostrano spesso alti tassi di imprenditorialità. Secondo uno studio della IOM, nel 2021, il 44% delle aziende Fortune 500 negli USA era stato fondato da migranti o dai loro figli.

Globalizzazione e disuguaglianza

La globalizzazione, quindi, pur avendo creato nuove opportunità economiche, ha anche alimentato disuguaglianze sempre più marcate tra e all’interno dei Paesi. L’intensificazione della concorrenza internazionale ha richiesto sacrifici maggiori ai Paesi meno sviluppati, accentuando disparità sociali, economiche e geografiche.

Branko Milanovic (2016), Senior scholar al Luxembourg Income Study Center ed esperto di disuguaglianze globali, ha mostrato come, negli ultimi trent’anni, la disuguaglianza sia cresciuta mediamente di 2,5 punti percentuali nei Paesi analizzati, con picchi ben maggiori in Cina e negli Stati Uniti. Condivide con Thomas Piketty (2014) l’idea che la principale causa dell’aumento delle disuguaglianze nei Paesi sviluppati sia da ricercarsi nella crescita dei redditi da capitale, che supera di gran lunga quella dei salari. La “migrazione” diventa così una risposta naturale per chi nasce in contesti svantaggiati, dove il cosiddetto “premio di cittadinanza” è assente.

Il ruolo delle istituzioni

Circa i due terzi della variabilità del reddito globale possono essere spiegati dalla geografia. È naturale che le persone nate in contesti poveri cerchino di emigrare verso luoghi dove le opportunità di vita e di reddito sono maggiori.

Tuttavia, molti Paesi adottano politiche migratorie selettive, favorendo l’ingresso di migranti qualificati e scoraggiando quello di persone meno istruite. Questa selezione contribuisce ulteriormente alle disuguaglianze globali.

Un punto chiave è il ruolo delle istituzioni (Strangio 2017). Una moderna politica industriale dovrebbe coniugare la libertà del mercato con un’efficace regolazione pubblica, capace di garantire infrastrutture, istruzione, giustizia, credito e lotta alla corruzione. Questa azione deve avvenire su più livelli, centrale e locale, in una logica di cooperazione e sinergia. Tuttavia, ostacoli come barriere amministrative, sfruttamento, discriminazione e il fenomeno del brain waste impediscono spesso ai migranti di esprimere appieno il loro potenziale.

Un processo equo

Il rapporto tra globalizzazione, migrazioni e disuguaglianze è complesso e dinamico. La globalizzazione ha creato enormi possibilità, ma anche nuove fratture sociali ed economiche. Le migrazioni rappresentano una risposta concreta alle disuguaglianze, ma necessitano di essere governate con politiche lungimiranti, inclusive e sostenibili.

Occorre andare oltre una visione economicistica dello sviluppo, integrando indicatori che riflettano la qualità della vita, la sostenibilità ambientale e il rispetto dei diritti umani. Solo così sarà possibile trasformare la globalizzazione in un processo realmente equo, in grado di promuovere giustizia sociale, benessere condiviso e coesione tra i popoli.

La sfida è quella di costruire un mondo dove le opportunità non dipendano dal luogo di nascita, dove le migrazioni siano scelte libere e non necessità imposte, e dove le istituzioni siano all’altezza della complessità del nostro tempo.

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